Si tratta del capolavoro di de Chirico, una delle opere pittoriche più famose ed enigmatiche del '900 italiano. De Chirico si trovava in quell'epoca a Ferrara come militare. La città lo colpsice moltissimo perché è costruita in stile Rinascimentale: perfetta nelle line della sua planimetria e della sua archtiettura, soprattutto nella parte ideata e voluta da Ercole d'Este (l'addizione erculea) come esempio di città ideale. Si trattava a quell'epoca però di una piccola città poco abitata, dalle vie silenziose e deserte, dall'aspetto un po' misterioso. Questa particolare atmosfera fa da sfondo al dipinto. Il castello, la piazza Ariostea, e poi anche due ciminiere, simbolo della modernità
Su un impiantito di legno, simile al pavimento di un palco teatrale, poggiano le protagoniste dell'opera, le Vergini, le Muse Inquietanti. Ritratte in una prospettiva esasperata, quasi di fuga, sono statue che hanno perso quasi del tutto la forma umana, ridotte a manichini ricuciti da sartoria. A sinistra la prima, di spalle mostra una schiena muscolosa: è avvolta in un lungo telo che ricorda una colonna ionica le cui scanalature sono però convesse. A destra poco lontata, seduta con le braccia conserte, la seconda: ha la testa staccata dal corpo e appoggiata alle gambe, somigliante ad un elmo acheo. Ai loro piedi oggetti geometrici, forse giocattoli. Nell'ombra a destra il movimento congelato di una statua che sembra cercare di scendere dal suo piedistallo.
Lo spaesamento che si prova osservando l'opera è dato attraverso l'uso di prospettive volutamente errate e discordanti: i palazzi a lato e il piano hanno punti di fuga diversi. La scatola colorata in primo piano ha addirittura le linee di fuga dirette verso l'osservatore. La pavimentazione su cui poggiano gli oggetti nasconde la base degli edifici sullo sfondo facendo perdere loro il riferimento spaziale e privandoli di peso. I colori sono accesi come quelli dei mattoni della città al tramonto, in forte contrasto con il cielo plumbeo e piatto.
L'opera è muta, silente, onirica. Il tempo è immobile e immaginario: in esso convivono elementi di varie epoche storiche, dal Rinascimento all'età classica fino all'era moderna. È proprio la mancanza di elementi temporali definiti la causa del senso di mistero che l'opera suscita nell'osservatore. Protagonista del quadro è l'enigma. L'intuizione improvvisa dell'artista, come un lampo, illumina la realtà delle cose cogliendone l'essenza al di là delle apparenze, l'aspetto metafisico.
Da una lettera destinata all'amico Carrà, datata 10 Giugno 1919, apprendiamo il titolo originale:
Io lavoro sempre, ho finito un quadro: Le vergini inquietanti
Per l'autore quello di questo quadro ha rappresentato un tema ricorrente: durante il corso della sua vita infatti de Chirico ne ha realizzate moltissime versioni, bozzetti e disegni. Le più importanti sono quelle realizzate nel 1925 e nel 1974. A questo proposito scrive Sabina d'Angelosante:
De Chirico frequenta dunque le sue Muse inquietanti per tutta la vita, gioca alle variazioni sul tema. Nella versione del 1925 della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma le differenze rispetto al quadro del 1917-1918 della collezione Mattioli sono forse appena percettibili in un maggiore contrasto cromatico e in un’accentuazione della sinuosità di linee della Musa in piedi in primo piano. Nel caso del dipinto del 1974 che fa parte della collezione della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico la differenza più evidente è la scomparsa del pavimento a tolda di nave, il caratteristico "palcoscenico" inclinato su cui, appunto, l’artista instancabilmente recita a soggetto. Una variante che rende le sue Muse ancora più sospese, volatili.
Inquietato dalle muse, Sabina d'Angelosante